Le nuove professioni intellettuali e le trasformazioni legislative

Autore: Luigi Paolo Roccalbegni

Gli articoli apparsi sui giornali le scorse settimane rendono necessaria una breve puntualizzazione.
In Italia si è sempre pensato che le attività professionali, per poter essere esercitate, dovessero essere
“riconosciute” e “autorizzate” dallo Stato, inoltre non erano chiari i limiti nei quali fossero effettivamente
necessari riconoscimenti e autorizzazioni. Essere professionisti “non riconosciuti” e “non autorizzati”
diventava quasi sinonimo di attività “non legale” o comunque “marginale”. Questo modo di pensare
dell’opinione pubblica poco informata ha creato nel tempo uno stato di incertezza e di precarietà negli
operatori che, nonostante il loro successo professionale, si sono sempre sentiti considerare come illegittimi.
Questo ha reso lenta e difficoltosa l’acquisizione e l’affermazione dell’identità professionale anche se
costruita in anni di esperienza, di lavoro e di attività associativa. Questo vissuto di illegittimità e di
marginalità ha creato una sorta di area grigia in cui professionisti seri e preparati hanno subito veri e propri
danni all’immagine, all’utenza e alla professione stessa da parte di persone scorrette e sedicenti operatori del
settore che, in mancanza di una regolamentazione e senza una adeguata preparazione, si sono potuti
improvvisare professionisti del mestiere.
La legge 3270 approvata dalla Camera il 16 Aprile 2012 e in discussione al Senato la prossima settimana va
a definire e quindi ad eliminare tale zona grigia. Per la prima volta si definiscono i criteri di riconoscimento e
di funzionamento delle associazioni nazionali e gli obblighi che caratterizzano l’esercizio delle professioni
intellettuali (formazione, aggiornamento, verifica periodica delle competenze professionali, assicurazione di
responsabilità civile obbligatoria, ecc.).
Se da un lato deve essere chiaro che, ad eccezione delle attività professionali già riservate per legge,
l’esercizio delle professioni intellettuali (e non solo intellettuali) in Italia è libero, è necessario, per i motivi
sopra indicati, che le associazioni, in applicazione di quanto previsto dalle direttive europee, si dotino al più
presto di un sistema di controllo, di autoregolamentazione e di certificazione per difendere la
rappresentatività delle professioni.
Molte associazioni hanno iniziato a coordinarsi aderendo al Colap (www.colap.it), il Coordinamento delle
Libere Associazioni Professionali, che rappresenta oltre 200 associazioni nazionali di professionisti che da
decenni lavorano senza un formale riconoscimento della figura professionale da parte dello Stato. Se si tiene
conto che sono oltre tre milioni i lavoratori in Italia che non possiedono un riconoscimento della propria
professione, ci si rende conto di come attraverso il Coordinamento nazionale e le sue articolazioni regionali
si possa essere reali interlocutori per le forze politiche, per i ministeri e per le amministrazioni regionali.
Uniti e con scelte organizzative condivise si è forti e si può avviare il processo di autodefinizione e di
autocontrollo, se isolati nella propria pratica professionale si è deboli e incapaci di una autorevole
definizione delle proprie competenze professionali. La creazione di fondi consistenti derivati dai contributi
dei singoli professionisti permette inoltre di creare una rete di servizi di supporto all’attività professionale
(contratti nazionali assicurativi per responsabilità civile ed infortuni, contributi previdenziali, camere di
conciliazione, attività formative e di aggiornamento, accesso a finanziamenti a tasso agevolato, ecc.)
raramente raggiungibili dai singoli professionisti o in molti casi dalle singole associazioni per via dei costi
estremamente elevati o per l’attuale assenza di tali servizi.
Nello spirito europeo non sono più gli stati a riconoscere le competenze del professionista ma sono i colleghi
con la loro specifica competenza tecnica che riconoscono il valore e la capacità professionale del nuovo
professionista, loro potenziale concorrente sul mercato. Nel 2000 l’accordo di Lisbona ha iniziato a definire i
passi necessari per creare una politica comune a livello continentale sulle professioni e sui percorsi formativi
relativi. Nel 2005 la Direttiva 2005/36/CE e poi la 2006/100/CE definiscono i criteri per rendere possibile il
riconoscimento dei titoli professionali e la libera circolazione delle professioni negli stati dell’Unione.Nelle ultime settimane di Giugno è stata portata in discussione nel Consiglio dei Ministri la proposta di
liberalizzazione delle attività professionali. I titoli dei giornali che parlavano di abolizione degli Ordini erano
molto ad effetto ma poco corretti nei fatti, infatti non è mai stato messo in discussione l’esistenza degli Ordini
ma al contrario di aggiornarne e ridefinirne le competenze, liberalizzare alcuni aspetti oggi sottoposti a
limitazioni e, per una parte di essi, la perdita della condizione di rappresentanza professionale esclusiva che
oggi li caratterizza.
Nella giornata del 30 giugno 2011, è apparsa una proposta di legge delega volta a riformare alcuni ordini
professionali (art. 39 bis della Riforma finanziaria).
La proposta di legge delega prevedeva:
• la abolizione dei minimi tariffari;
• la abolizione dei divieti imposti all’attività pubblicitaria;
• la possibilità di costituire società di capitali;
• la possibilità di iscriversi in più albi e di condurre imprese commerciali;
• il divieto di contingentare il numero dei professionisti;
• l’abolizione de facto degli esami di stato e subordino dell’esercizio della attività professionale al
conseguimento della laurea e ad un periodo di tirocinio iniziabile già durante gli studi universitari.
Questa proposta è stata poi completamente ritirata nei giorni successivi a fronte della protesta di 46
parlamentari e di 22 senatori che minacciavano il loro voto contrario alla riforma finanziaria. Al suo posto è
stato inserito nel testo di legge un nuovo comma (1 bis) all’articolo 29 che cita testualmente:
”Al fine di incrementare il tasso di crescita dell’economia nazionale, ferme restando le categorie di cui
all’articolo 33, quinto comma, della Costituzione, sentita l’Alta Commissione di cui al comma 2, il Governo
formulerà alle categorie interessate proposte di riforma in materia di liberalizzazione dei servizi e delle
attività economiche; trascorso il termine di otto mesi dalla data di entrata in vigore della legge di
conversione del presente decreto, ciò che non sarà espressamente regolamentato sarà libero.”
Ho riportato il testo integrale per evidenziare che di fatto non viene modificato nulla nell’ambito delle
professioni e anche la curiosa formula per cui “fra otto mesi tutto ciò che non sarà stato regolamentato sarà
libero” non modifica nulla in quanto già oggi tutto ciò che non è regolamento è aperto alla libera iniziativa.
Questo comma 1 bis si spiegava solo come una dichiarazione di buoni intenti nei confronti dell’Unione
Europea che sollecita il Governo italiano ad allinearsi a quanto definito dalle proprie Direttive in merito alla
liberalizzazione delle professioni.
Nel Decreto legge del 13 Agosto 2011 questi punti vengono ripresi ma la scadenza per il decadimento delle
norme è stato portato da otto a dodici mesi. Il Decreto è stato poi convertito in legge il 14 Settembre 2011. Il
7 Agosto 2012, per evitare che in assenza di leggi specifiche “tutto ciò che non è stato regolamentato sarà
libero” è stato pubblicato il decreto legge del Presidente della Repubblica con una serie di definizioni in
merito agli obblighi dei professionisti ordinisti e degli Ordini stessi.
Nelle leggi approvate dal Parlamento nei mesi di Dicembre 2011, Gennaio e Luglio 2012 sono stati definiti
alcuni aspetti dell’esercizio delle professioni, ma non è mai un nuovo quadro normativo. Nel mese di giugno
2012 il Consiglio dei Ministri ha approvato il testo del Decreto Presidenziale sulla riforma degli Ordini,
pubblicato solo pochi giorni prima della fatidica scadenza del 13 Agosto. Il testo decreto tocca solo alcuni
dei punti che erano presenti nelle bozze precedenti; di fatto è il tipico esempio della montagna che partorisce
un topolino. Vengono definiti i criteri dei tirocini, la possibilità di farsi pubblicità, l’obbligo assicurativo per i
professionisti. Sono rimasti poco definiti i criteri e gli obblighi di formazione e di aggiornamento
Questo lungo e travagliato iter legislativo dimostra chiaramente quanti e quali forti interessi si muovono
dietro le attività professionali nonostante che in questo momento le attività libero professionali stanno
risentendo di una crisi molto profonda che non è solo economica ma anche, se non soprattutto, strutturale. I
giovani professionisti, anche delle professioni ordinistiche, non riescono a trovare un lavoro e la maggior
parte sceglie di emigrare in altri paesi per sviluppare le loro competenze.
Oggi sta diventando prioritario per le associazioni professionali e per gli Ordini investire in una propria
riorganizzazione interna e in una ridefinizione delle strategie di sviluppo dei propri settori.
Le associazioni professionali hanno alcuni mesi per prepararsi ai cambiamenti che arriveranno secondo
quanto previsto dalle già citate Direttive e tradotte lentissimamente nelle nostre leggi nazionali. E’ necessario
quindi investire tempo e risorse:
1. nell’organizzazione interna degli organismi di rappresentanza in termini quantitativi e qualitativi,
2. nella rigorosa definizione dei percorsi formativi necessari per acquisire una competenza
professionale specifica e delle iniziative per garantire la formazione permanente,3. nell’organizzazione dei tirocini professionali necessari per consolidare l’esperienza e una reale
capacità professionale,
4. nella definizione delle procedure di verifica e di certificazione delle capacità professionali dei propri
associati e il mantenimento di questa nel tempo,
5. nella definizione del Codice Deontologico e del Regolamento disciplinare di ogni professione,
6. nella costruzione della Carta professionale di ogni professionista e della Piattaforma nazionale di
ogni profilo.
7. nella costruzione di un sistema di servizi in forma associata e condivisa (segreterie, consulenze:
fiscali, contributive, legali, assicurative, ecc.).
Questi punti per essere rappresentativi devono essere condivisi e deliberati da tutte le associazioni che
rappresentano lo stesso profilo professionale a livello nazionale e fra profili simili o sinergici.
Quindi c’è molto lavoro da fare per essere all’altezza delle trasformazioni che le leggi, in parte, e la crisi
economica nei fatti rendono sempre più necessarie.

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